Indagine Auser
    Riducono i consumi e si indebitano. E i  comuni affidano sempre  più al Terzo Settore la gestione dei Servizi Sociali
             AUSER.IT - Redazione (CS) - 03/03/2010
 
                              
ROMA - Cresce la povertà assoluta  degli anziani e  peggiorano le loro condizioni di vita,  il fenomeno riguarda soprattutto  gli anziani soli ultra 65enni. Ad essere interessati sono 7 anziani su  100 nel 2008 e le coppie con anziano capofamiglia, circa 5 su 100.
Lo  mette in evidenza la prima indagine su «La condizione sociale degli  anziani» presentata oggi a Roma dall’Auser. I dati sui consumi mensili  degli anziani, confermano l’ipotesi del progressivo peggioramento delle  condizioni reali di vita per questa fascia della popolazione. Le  statistiche ISTAT mostrano, infatti, come negli ultimi 6 anni (2003 –  2008) la spesa media mensile di un anziano solo cresca esclusivamente  nelle componenti dei costi per l’abitazione e l’energia (+1,1%) e dei  trasporti (+1%).
Al contrario, nello stesso periodo, l’anziano che  vive solo ha ridotto soprattutto le spese per l’alimentazione (- 1,4%) e  abbigliamento e calzature (- 0,5%).
Nel caso di coppia senza figli  con capofamiglia ultra 65enne, solo una voce di spesa risulta in  aumento: quella destinata all’abitazione ed energia +3,2%. In calo tutte  le altre voci di spesa. 
   
                     Cresce la povertà assoluta degli anziani
          Gli anziani si impoveriscono e si indebitano
La  conferma viene dalla Banca d’Italia dai dati sulla struttura dei debiti  familiari e sulla vulnerabilità finanziaria delle famiglie.
Le  famiglie anziane con capofamiglia over 64 e quasi anziane con  capofamiglia di età compresa tra i 55 e i 64 anni, risultano quelle con  il debito per beni di consumo più elevato, rispettivamente dell’11,9% e  del 13,8%. In assoluto i nuclei con capofamiglia ultra64enne sono anche  quelli più indebitati con amici e parenti.  
Pensioni: il  regno della disuguaglianza
In questo contesto – sottolinea  l’indagine dell’Auser- il sistema pensioni rafforza ulteriormente le  condizioni di disagio degli anziani, ponendosi anche come il regno della  disuguaglianza, soprattutto al Sud.
Sfiora, infatti,  i 780  euro  l’importo medio mensile delle pensioni percepite dagli anziani che  risiedono in Italia  Ma se il pensionato, con più di 65 anni,  vive al  Sud, la quota di cui può disporre diminuisce di quasi  160  euro (620  euro), se invece appartiene alle regioni del Nord-Ovest aumenta  fino a  910 euro. Se poi l’anziano del Sud è uomo, allora l’assegno  pensionistico sale fino a 792 euro e scende  addirittura fino  490 euro  per le donne.  Infine, mediamente, tra un settantenne e un  ultra-ottantenne in pensione passa una differenza di oltre 180 euro (da  680 a 500 euro pro-capite).E’ lo specchio del divario – territoriale,  fra uomo e donna, per fasce d’età - che esiste in tema di pensioni ed  anziani over 65.
La distribuzione degli importi medi delle pensioni e  in particolare di quelle di vecchiaia riflette le conseguenze di  problemi cronici  e conferma che l’Italia  è un paese ad alta povertà e  disuguaglianza, un fenomeno che riguarda soprattutto il Mezzogiorno. In  sostanza, sia le forti differenze territoriali che riguardano i  trattamenti salariali e previdenziali dei lavoratori dipendenti privati e  autonomi, sia il fenomeno del lavoro sommerso, hanno pesato  negativamente sul rendimento delle pensioni e anche in termini di  copertura del sistema di protezione sociale.
I comuni  stretti nella morsa dei tagli alla spesa
I risultati del III Rapporto  Auser Enti Locali e Terzo Settore
Di contro i comuni si  ritrovano stretti sempre più  nella morsa dei tagli alla spesa e agli  organici, costretti ad affrontare un forte incremento della domanda e  del bisogno  sociale. In sostanza la gestione dei servizi sociali vede  sempre più protagonista il Terzo Settore, in presenza però di regole e  criteri di affidamento ancora incerti e poco trasparenti. Lo mette bene  in evidenza il «III Rapporto Enti Locali e Terzo Settore» dell’Auser   presentato oggi sempre a Roma.
In base ai dati rilevati dall’Auser,  sono soprattutto i Comuni più grandi per dimensione demografica -  dove  probabilmente la crescente domanda di assistenza necessita, per poter  essere soddisfatta, di un numero elevato di operatori - ad affidare  all’esterno la gestione dei servizi sociali e alla persona.  I settori  d’intervento che assorbono le quote maggiori di risorse destinate  all’acquisto di prestazioni sociali, riguardano la gestione degli asili  nido, delle strutture residenziali e dei  ricoveri per anziani  e  dell’assistenza domiciliare.
Nel 2009 circa il 51,6% della spesa  comunale  finalizzata all’assistenza,  è stata impiegata dai Comuni per  affidare all’esterno, in particolare a favore delle imprese sociali e  delle associazioni del territorio, la gestione di interventi e servizi  sociali. Questo fenomeno,  presenta caratteristiche più marcate nelle  aree del Mezzogiorno (circa il 55%); nelle aree del Nord-Ovest si  riduce, invece, la quota della spesa per l’acquisto di servizi (49,1%). 
La  qualità degli appalti sociali
Il 15% delle gare sono state  indette sulla base del criterio di aggiudicazione al prezzo più basso  determinato mediante massimo ribasso sull'elenco delle offerte. Questa  formula è volta a premiare esclusivamente i ribassi proposti dalle  imprese sociali rispetto alla base d’asta o prezzo base  progettato dal  Comune, ignorando, in definitiva, le componenti tecniche e qualitative  delle offerte.
Tale prassi è ancora adottata dai Comuni, nonostante  che la legge 328/2000 e le norme regionali di settore sollecitino, ormai  da anni, le amministrazioni pubbliche ad abbandonarla. 
Neanche il  20% dei bandi comunali contiene disposizioni 
dettagliate per  tutelare la sicurezza sul lavoro e in materia di antinfortunistica,  relativamente ai dipendenti delle imprese sociali.
Nella quasi  totalità dei bandi esaminati, inoltre, le amministrazioni locali non  hanno applicato gli indirizzi della riforma dell’assistenza per la  diffusione delle forme di aggiudicazione cosiddette negoziate, volte  cioè a sviluppare – attraverso le formule dell’ «appalto concorso» e  della «co-progettazione» - le capacità progettuali dei concorrenti del  Terzo Settore.
Solo 8 delle 140 gare pubbliche prevedono, infatti,  l’aggiudicazione di servizi sociali sulla base dell’»appalto concorso»  (che lascia libertà alle imprese sociali di proporre progetti di ampio  respiro per la gestione di una determinata prestazione sociale);   inoltre, solo 7 Comuni hanno chiesto a cooperative e associazioni  sociali di co-progettare insieme un servizio,  attivando, così come  prevede anche il «Codice degli appalti» (Dlgs 163/2006)  un tavolo di  lavoro congiunto, tra ente committente e impresa aggiudicataria,  finalizzato a monitorare e a ri-programmare continuamente la gestione  dell’intervento sociale.
Ad aggiudicarsi la fetta più grossa sono le  cooperative sociali, soprattutto nel Nord Ovest (88%). Le associazioni  di volontariato risultano affidatarie dei servizi sociali al Sud per il  21% nelle isole per il 23%.
Le  cooperative sociali gestiscono in  particolare servizi di assistenza domiciliare agli anziani, interventi  assistenziali di base (gestione di centri con ospiti residenziali), e  servizi all’infanzia, specie quelli a carattere educativo e ricreativo.  Alle associazioni di volontariato i Comuni affidano in particolare la  gestione di  servizi cosiddetti innovativi e integrativi, di supporto  agli interventi «complessi»: Laboratori di animazione sociale;  Interventi di sollievo e supporto psicologico; Trasporti sociali;  accompagnamento; servizi agli immigrati.
I criteri di affidamento dei  servizi sociali comunali sono ancora non pienamente trasparenti.
La  breve durata degli incarichi, la carenza di controlli degli uffici  comunali sull’operato del Terzo settore e in particolare sul fenomeno  del lavoro nero, costituiscono elementi di forte incertezza nella  ripartizione della spesa sociale e soprattutto relativamente  all’erogazione di prestazioni di qualità.
Fonte AUSER