17 giugno 2010

gente che conta poco o gente di poco conto.

Il Direttore della BP uno svedese uscendo dall'incontro con Obama  durante il quale avevano discusso della marea nera nel golfo del Messico, in  una intervista ha sbottato sulle persone che abitano  nelle zone inquinate dal petrolio indicandole come "gente di poco conto".
La stampa ha immediatamente indicato la "gaff", anche se  egli ha esposto la verità, un pensiero sempre presente nella storia del'uomo, verità sempre più esposta e chiara anche se per il quieto vivere negata, coperta con una indicazione di pensiero o facciata definita democrazia.
In effetti questa Democrazia non è supportata da una conoscenza umanistica e da una consapevolezza comune democratica diffusa, alcuni hanno addirittura dimenticato l'espressione rinunciando al voto.
Ora perché le attese sociali illuministe del nostro secolo sono cadute? Perché in alcuni casi abbiamo monarchie meno dispotiche  e importanti che alcune democrazie?
Come mai altre monarchie sono riuscite a sconfiggere movimenti popolari importanti come quello comunista?
Come mai la Democrazia è diventata una cattiva copia della monarchia^
A questi interrogativi possiamo dare risposte multiple e composite, ma il risultato finale è che hanno funzionato meglio, e se ci domandiamo il perché, lo possiamo trovare nella origine storica della loro composizione strutturata sulla gerarchica composizione sociale che ha ancora origini nella nostra base sociale primordiale, dove al sapere collettivo si è dato forma ad un sapere/forza di pochi su altri, definito come potere.
Le religioni si sono strutturate al servizio del potere e lo hanno sia servito che se ne sono servito, in questo scambio di reciprochi piaceri la gente di poco conto è stata usata sia per incapacità intellettuale, culturale indotta,.
La gente comune così si è creata classi per  poter creare subordini di potere e migliorare il loro stato, ma questi subordini di potere per poter sopravvivere devono consolidarsi al servizio del potere. Ne resta così una scala sociale dove chi è persona cognitiva e normale viene assunta all'indirizzo di gente di poco conto.
Il potere può vivere solo attraverso gruppi di esseri opportunisti capaci di piegare qualsiasi istanza di pensiero e di miglioramento.
Quanto  sopra descritto è tipico di una specie animale che assume in se molteplici comportamenti e ha ai propri vertici specie quelli religiosi non comportamenti umani ma tipici di specie animali carnivore ed ingressive dominanti.

10 giugno 2010

Se la cultura diventa un voce del Pil


di Massimo Wertmullertutti gli articoli dell'autore
Cultura. È una bella parola. Ricca, importante ma anche, indubbiamente, impegnativa. Ma la cultura non è una faccenda lontana, alta, inaccessibile e per pochi. In antropologia, con il termine cultura si intende quel complesso di costumi, attività, valori, abitudini e ideali che identificano un popolo o una società Nel tempo, la sfera d’azione della cultura si è arricchita. E allora per “cultura” si intende anche arte, musica, lettura, scrittura, spettacolo. E non è che in questo modo ci si allontani dalla gente comune, anzi. Per esempio la cultura, e con essa il turismo e l’agricoltura visto che siamo in Italia, potrebbe e dovrebbe essere un buon investimento, un indotto di lavoro che può occupare nel suo contesto, molte categorie sociali. Ma questo vorrebbe dire ripensare le priorità.
Viviamo in un’epoca che ha messo al centro del proprio vivere il denaro che cessa di essere un mezzo per vivere e diventa addirittura un valore. Oggi è migliore quella nazione con il più alto Pil, mentre dovrebbe essere solo più ricca. Abbiamo costruito una società che è la società del più forte economicamente.
Bene, questo mondo a me non piace. Il mondo migliore, secondo me, dovrebbe essere quello fondato sui veri valori: la creatività, la spiritualità, la solidarietà per esempio. Facciamo in modo che questi valori non solo vivano forti e sani ma soprattutto che non siano chiusi in una nicchia accessibile a pochi. A guardare, invece, certi prodotti televisivi imperanti pare proprio, invece, che un popolo un po’ imbecille ed ignorante faccia comodo a qualcuno. Come se non fosse possibile proporre spettacolo leggero con cura e qualità. Del resto, in questa Italia, vince e affascina sempre di più il furbo, il prepotente, quello che pensa e decide al posto nostro. A quegli addetti ai lavori che vogliono un’Italia diversa e migliore intanto resta il dovere, dal canto loro, di produrre, quando possono, prodotti ben fatti. Mettere poi a punto civili forme di protesta. E soprattutto tenere alto l’indice di indignazione, altra parola, questa, in via di estinzione nell’Italia dell’ignavia. Tace il Paese persino quando qualcuno, già abbondantemente privilegiato, prende case in modo poco solare oppure soldi nostri.
Mi piacerebbe che questa discussione sulla cultura non avesse alcun tono o colore politico. La sinistra di oggi, purtroppo, si è allontanata molto dai bisogni e dalla realtà della gente umile. Figuriamoci quando parla di cultura. Meglio lasciarla in pace a cercare se stessa, la sinistra. La destra, invece, tende a non volersene occupare. E allora, secondo me, la cultura, per essere vissuta da qualsiasi strato sociale, deve ritrovare quel valore esistenziale necessario che ha per esempio l’ossigeno rispetto alla nostra esigenza di respirare.
10 giugno 2010

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